Pagare per uccidere, per divertimento, nel mezzo di una guerra fratricida. L’orrore senza fine delle guerre
Nonostante il grande numero di tragedie che in questi mesi percorrono il mondo e rischiano di anestetizzarci in un flusso continuo di notizie e immagini di morte, chiunque allibisce alla notizia dei “cecchini a pagamento”, e precisiamo: non pagati per sparare. Erano loro a pagare, per aver diritto di sparare, dalle alture di Sarajevo, sulla popolazione civile già sottoposta ad assedio. Pare che le tariffe fossero proporzionate alla difficoltà (o al “valore”, cioè all’efferatezza) e che colpire un bambino costasse più caro. Venivano da vari paesi dell’Europa, e dall’America. Non ne vedremo mai le facce, parliamo di oltre trent’anni fa: qualcuno sarà morto, qualcuno farà il nonno.
La guerra della ex-Jugoslavia ci aveva abituati, nel corso degli anni ’90 del 900, preceduta dalla prima Guerra del Golfo, a vedere in tv una serie di efferatezze e crudezze che da allora non ci hanno più abbandonato: teste mozzate, vendette, stupri di massa, odio diffuso nella popolazione, anche fra chi fino a poco prima viveva, se non in amicizia (c’era anche questa), almeno nel rispetto reciproco.
La guerra etnica, arcaica e “postmoderna”, ci ha fatto scoprire la crudeltà di una zona del mondo, neanche troppo lontana, tanto che fece strada l’abitudine di definire “balcanizzata” qualunque area di conflitto esasperato o di barbarie. Ma quella guerra è stata anche quella che ha portato le istituzioni internazionali (come già avvenuto per l’Iraq) a colpire dal cielo, a condurre una guerra senza uomini, ai bombardamenti. Certo, fu l’intervento Nato a bloccare l’assedio di Sarajevo e a rendere possibili gli “Accordi di Dayton”. Decisioni non semplici, che spaccarono maggioranze e opposizioni. E che dire di quando si scoprì che il massacro di Srebrenica (1995) avvenne in una zona che avrebbe dovuto essere protetta da un contingente (olandese) dell’Onu, che invece non impedì l’accesso e lo scatenamento della mattanza?
Il fatto è che la guerra della ex-Jugoslavia non è mai stata soltanto “roba loro”. Pur in un contesto che vede periodicamente il riemergere di tensioni come quelle fra Serbia e Albania, ha coinvolto paesi che consideriamo moderni e civili, altro che “balcanizzare”. Ma essa è stata ed è anche uno specchio, un tragico specchio in cui veniamo a scoprire il peggio di noi. Pagare per andare a sparare su civili inermi… L’hanno fatto persone comuni: piene di soldi sì, perché pagando si può andare sulle cime più alte portati dall’elicottero. Un delirio di onnipotenza, per chi se lo può permettere. Ma pagare per uccidere…
Spesso ricordiamo il testo di Isaia «non impareranno più la guerra…» (2, 4); ma prima ancora egli esortava: «imparate a fare il bene» (1, 17). Il bene e il male, che Dio ci mette davanti (Deut. 30, 15) sono gli elementi fra cui Dio ci dice di scegliere; ma prima di scegliere abbiamo anche il compito di costruire noi stessi e noi stesse come persone, e di costruire le altre persone e generazioni. La guerra, il bene sono anche il risultato di una educazione e autoeducazione («non impareranno… imparate…»). Che cosa hanno imparato questi autodidatti della morte, danarosi, forniti di tecnologie e inseriti nei “giri” giusti? Che aria hanno respirato nei loro paesi (anche il nostro), paesi civili e non belligeranti? Queste persone erano (sono) qui, non nei Balcani. Speriamo di non essere costretti a velare gli specchi..
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