Oltre la detenzione

«Oltre la detenzione” è il tema della tavola rotonda, organizzata giovedì 20 novembre dalla Federazione donne evangeliche in Italia (Fdei) per la presentazione del Quaderno sui 16 giorni per vincere la violenza presso la chiesa metodista di Roma. Come ogni anno la Federazione delle donne evangeliche ha declinato in 16 pagine di dossier la…

Oltre la detenzione

24 Novembre 2025

by Fabio Perroni

Il racconto della tavola rotonda organizzata dalla Federazione donne evangeliche in Italia (Fdei) per la presentazione del Quaderno sui 16 giorni per vincere la violenza 

«Oltre la detenzione” è il tema della tavola rotonda, organizzata giovedì 20 novembre dalla Federazione donne evangeliche in Italia (Fdei) per la presentazione del Quaderno sui 16 giorni per vincere la violenza presso la chiesa metodista di Roma. Come ogni anno la Federazione delle donne evangeliche ha declinato in 16 pagine di dossier la violenza di genere, con una attenzione particolare alla parte più nascosta dell’iceberg della violenza. 

Sedici approfondimenti su come viene ancora oggi narrata, vissuta, subita la violenza anche in situazioni più nascoste, situazioni dove maschera in modo subdola le sue armi. 
Sedici approfondimenti partendo dalle donne operatrici di pace, a quelle in fuga dalle molteplici guerre, alle donne di Palestina, a quelle libere dalle pressioni e ruoli sociali, alle donne di Taranto vittime della violenza salute/lavoro… per arrivare al tema della serata, la situazione carceraria femminile dove si giocano relazioni gerarchiche, amicizie e giochi di potere spesso declinate da violenze ed emarginazioni.

La detenzione – è risuonato più volte nei vari interventi –, da quello iniziale della pastora Mirella Manocchio presidente della Fdei e pastora della chiesa metodista ospitante, al prof. Stefano Anastasia, garante per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale del Lazio, alla senatrice del Pd Valeria Valente, e al deputato del Movimento 5 stelle Raffaele Bruno, è una delle violenze di genere tra le più nascoste, una violenza imposta sia per l’organizzazione del sistema carcerario sia per la stessa architettura dei luoghi di detenzione, pensati esclusivamente al maschile. Luoghi pensati per gli uomini, ideati da uomini per uomini, a misura degli uomini. Ma vissuti oggi anche da una minoranza del 4% di donne.

Alcune parole sono state un fil rouge per tutta la serata e sono risuonate nei diversi interventi: sovraffollamento, maternità, riabilitazione, giustizia riparativa, formazione culturale, percorsi teatrali, ecc. Ma anche come grande parte della società e della politica pensa al carcere come unica forma di controllo e di disciplinamento della marginalità e della devianza. Pensiamo al problema della maternità in carcere, che diventa una realtà di pesante violenza. Una situazione devastante, perché anch’essa è stata pensata al maschile, con spazi e modalità per disciplinare i maschi, dimenticando una realtà/relazione madre bambino che arriva ad assumere anche effetti devastanti come depressione, fenomeni di autolesionismo, suicidio.

Ma soprattutto non presta nessuna attenzione ai più piccoli. Basterebbe ricordare come l’esperienza, le relazioni, i suoni le immagini dei primi mille giorni – ci testimoniano gli studi – di vita del bambino fanno la differenza nel suo percorso evolutivo. È stato ricordato come purtroppo troppe volte le prime parole che imparano i più piccoli sono “apri” e “chiudi”, riferite alle celle. Donne che arrivano nei penitenziari già vittime di una violenza maschile declinata dal dominio, dalla sopraffazione, dal possesso e dalla proprietà di un maschio. Il tema di fondo, come sostenuto dalla senatrice Valente, «è che queste donne andrebbero innanzitutto sostenute in percorsi di uscita dalla logica della subordinazione che loro stesse in qualche modo consacrano».

Le buone pratiche? Sono state illustrate dall’on. Raffaele Bruno, regista, promotore di un emendamento alla legge di bilancio del 2024 per un fondo strutturale per il teatro in carcere, e da Francesca Tricarico, regista che opera nel carcere femminile di Rebibbia con l’esperienza delle donne di Muro Alto. Esperienze molteplici, diversificate sempre positive. «Mettiamo una lente di ingrandimento su quelle che sono le dinamiche relazionali e mettiamo una lente di ingrandimento su di noi», racconta la regista Tricarico. Attraverso il teatro cambiano i rapporti, i comportamenti, le relazioni. Questo è il senso bidirezionale del teatro che apre il carcere all’esterno. Un cambio di prospettiva delle detenute e degli spettatori. 

Due brevi monologhi recitati da due attrici di Muro Alto hanno chiuso la serata. Con un appuntamento: le donne di Muro alto saranno all’Auditorium Parco della musica di Roma il 25 gennaio prossimo. Un appuntamento che continua il percorso, la riflessione di «Oltre la detenzione».

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