COP30, “Mutirão Global”. Cooperare con “coraggio persistente e comunitario”

Roma (NEV), 25 novembre 2025 – Riceviamo e pubblichiamo l’analisi sulla COP30 che la Commissione globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) ha chiesto ad Antonella Visintin Rotigni. La COP30, la 30ª Conferenza delle Parti nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), si è svolta a […]

Roma (NEV), 25 novembre 2025 – Riceviamo e pubblichiamo l’analisi sulla COP30 che la Commissione globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) ha chiesto ad Antonella Visintin Rotigni.

La COP30, la 30ª Conferenza delle Parti nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), si è svolta a Belém, in Brasile. Le COP sono i vertici annuali in cui quasi 200 Paesi negoziano strategie comuni contro il cambiamento climatico, un appuntamento nato nel 1995 a Berlino e diventato centrale nella diplomazia climatica. Diversi organismi religiosi e chiese hanno preso parte alle COP, con iniziative parallele e non solo.

Molte testate parlano di un ennesimo fallimento: accordo debole, nessun impegno vincolante sull’uscita dai fossili, roadmap poco ambiziosa e molte critiche da parte di ONG e osservatori. Nel testo finale compare l’idea di “Mutirão Global”, termine brasiliano che indica uno “sforzo collettivo”: un richiamo alla cooperazione multilaterale globale, che però, secondo diversi analisti, resta più simbolica che concreta.

In fondo alla pagina, anche il documento finale integrale della COP 30, in originale e in una traduzione curata dalla stessa Visintin Rotigni.


COP 30

Questa Conferenza delle parti sul cambiamento climatico si è trovata a tenere la barra di navigazione in un contesto reso turbolento, da un lato, da una forte campagna mediatica nell’occidente, già in campo da qualche anno, di relativizzazione della incidenza della componente antropica del cambiamento climatico. Dall’altro, dalla oggettiva crescita della produzione di combustibili fossili che secondo un andamento stimato dal Production Gap Report 2025 dello Stockholm Environment Institute e dell’UNEP globalmente sarà nel 2030 superiore del 500% per il carbone, 31% per il petrolio e del 92% per il gas.

Il modello EN-ROADS del MIT mostra che, seguendo gli attuali piani, il Pianeta si avvia verso un aumento della temperatura superiore ai 3°C entro fine secolo.

Ciò mentre il nuovo Renewables 2025, il rapporto annuale sul settore dell’IEA (Ente internazionale dell’energia), ci dice che nello scenario base (“a politiche correnti”) la capacità globale di rinnovabili arriverà a 2,6 volte il livello del 2022 entro il 2030 (9.530 GW), quindi una crescita non ancora sufficiente a triplicare la capacità come richiesto dall’accordo COP28 (che richiederebbe circa 11.500 GW di capacità installata al 2030).

Un ruolo non secondario in questo incremento della domanda è svolto dalla automazione (in specie la cosiddetta intelligenza artificiale e i data center a corredo) alimentata anche dalla impennata bellicista in Europa e nel nord America.

In che modo quegli stessi governi che mettono in atto misure contrarie ad ogni indirizzo di sostenibilità avrebbero potuto sottoscrivere un impegno di uscita graduale dal fossile?

La stessa Italia ha approvato a luglio 2024 un Piano nazionale di riduzione delle emissioni (PNIEC) che dovrebbe guidare la transizione energetica del Paese fino al 2030, in accordo con lo sforzo europeo di portare alla riduzione delle emissioni nette continentali del 55% al 2030, rispetto ai livelli del 1990.

Il Pniec – secondo una analisi della CGIL«presenta sostanziali divari rispetto agli obiettivi climatici europei, per le rinnovabili, punta a un contributo del 39,4% al consumo finale lordo di energia entro il 2030, a fronte di un obiettivo europeo vincolante del 42,5%, con l’aspirazione di raggiungere il 45%, mentre per le emissioni totali di gas serra prevede una riduzione del 49% al 2030, rispetto al 1990, invece del 55%, e del 60% al 2040, invece del 90%. La distanza è ancora più evidente se guardiamo ai risultati realizzati al 2023: l’Italia ha ridotto finora le emissioni del 26% rispetto al 1990, mentre la media europea è stata del 37%».

Intanto la situazione climatica è diventata un rischio sistemico. Una delle più grandi compagnie assicurative al mondo avverte che ci avviciniamo a livelli di temperatura tali per cui le assicurazioni non saranno più in grado di offrire copertura per molti rischi climatici.

Dato il contesto, la stessa perseveranza di queste COP rappresenta un segno di buona volontà verso questo aspetto degli equilibri vitali del pianeta che incide su tutta la vita del creato.

Il testo finale della COP 30 si chiama “Mutirão global” un concetto tipico della cultura brasiliana e proveniente dalle tradizioni della popolazione indigena Tupi che significa “mobilitazione collettiva per perseguire un fine”: in questo caso agire insieme contro i cambiamenti climatici, in uno sforzo globale di cooperazione tra i popoli per il progresso dell’umanità.

La pressione della società civile perché questa fosse una “COP della Verità”, è stata assunta in un passaggio del documento come obiettivo da realizzare “ripristinando la fiducia e la speranza nella lotta contro i cambiamenti climatici unendo scienza, equità e determinazione politica, promuovendo l’integrità delle informazioni e rafforzando il multilateralismo, collegando il processo con le persone sul campo e accelerando l’attuazione dell’Accordo di Parigi”.

Sebbene non ci sia stato un impegno rispetto alla dipendenza dai combustibili fossili, e non sia stato accolto l’appello del Presidente Lula e di oltre 80 Paesi per una roadmap su fossili e deforestazione, l’avvio di nuovi processi per accelerare la transizione energetica come il Global Implementation Accelerator e la Belém Mission to 1.5, dà strumenti concreti per permettere ai Paesi di collaborare, ciascuno con i propri percorsi.

Sulla parte finanziaria, la COP30 insiste sull’importanza di investire in resilienza e decide di triplicare i finanziamenti per l’adattamento entro il 2035. Emergono impegni insufficienti per rendere la finanza climatica più prevedibile, accessibile e commisurata ai bisogni dei Paesi vulnerabili, elementi essenziali per un sistema finanziario più equo e allineato alle sfide climatiche.

Per inciso, l’appiattimento sempre maggiore sull’adattamento rispetto alla mitigazione esprime una rinuncia ad agire sulle cause che dovrebbero richiamare i princìpi di precauzione e prevenzione usciti anche dall’orizzonte delle coscienze.

Il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), insieme alla società civile internazionale, si è molto impegnato nelle fasi di preparazione della COP come fa dall’inizio di questo programma dell’ONU (Berlino 1995) e quanto è uscito dal documento conclusivo va ricondotto anche all’azione collettiva verso la giustizia climatica.

Con le parole del pastore Philip Vinod Peacock, recentemente eletto segretario generale della Comunione mondiale di chiese riformate (CMCR-WCRC), espresse in un incontro internazionale nei giorni della COP: “La speranza… non può essere l’immaginazione dei dominanti o l’ottimismo dei potenti. È il coraggio persistente e comunitario di credere che il futuro di Dio si spinge nel presente”.

Antonella Visintin Rotigni


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