Non distogliere lo sguardo. Oltre il 25 novembre

Roma (NEV), 26 novembre 2025 – Ieri, martedì 25 novembre, io e Giovanni, il mio collega di servizio civile, abbiamo partecipato all’incontro “I mille volti della violenza di genere”, organizzato da Metis di Meo in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. L’evento ha raccolto numerosi contributi provenienti dal mondo istituzionale, […]

Roma (NEV), 26 novembre 2025 – Ieri, martedì 25 novembre, io e Giovanni, il mio collega di servizio civile, abbiamo partecipato all’incontro “I mille volti della violenza di genere”, organizzato da Metis di Meo in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. L’evento ha raccolto numerosi contributi provenienti dal mondo istituzionale, artistico, universitario e dall’ambito delle migrazioni, offrendo uno sguardo ampio sulle diverse forme che la violenza può assumere: fisica, psicologica, economica, sociale, lavorativa, religiosa, identitaria e legata ai conflitti. 

La parte artistica è stata affidata all’attrice Daniela Poggi, che ha portato in scena un estratto teatrale da “Figlio, non sei più giglio”, dando voce alle dinamiche familiari e alle manipolazioni emotive che spesso precedono la violenza manifesta. A dare profondità e concretezza al tema della violenza economica sono state Mariella Triolo, presidente di CNA Impresa Donna, e l’imprenditrice Rossella Calabrò: entrambe hanno mostrato come il controllo finanziario sia uno strumento di dominio capace di imprigionare una donna pur senza ricorrere alla forza fisica. Le loro testimonianze hanno evidenziato quanto l’autonomia economica rimanga oggi una condizione fragile per molte. 

Il tema delle migrazioni e dei corridoi umanitari è stato affrontato da Benedetta Fragomeni, operatrice di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, che ha ricordato come molte donne migranti attraversino violenze già nelle rotte di fuga: ricatti, abusi, assenza di protezione legale e precarietà costante. Una violenza che spesso non lascia segni visibili, ma che segna profondamente i percorsi di vita. Parlare di violenza di genere, ha sottolineato, “significa interrogarsi sulle condizioni che incontrano queste donne una volta arrivate in Italia e sulle reali tutele messe a loro disposizione”. 

Un momento particolarmente toccante è stato il contributo video di Farida Khalaf, attivista yazida sopravvissuta all’ISIS. Con parole chiare e dure, ha raccontato la violenza sessuale usata come arma di guerra e come strumento per annientare intere comunità attraverso il corpo delle donne. Il suo intervento ha reso evidente quanto la violenza nei conflitti non sia un effetto collaterale ma una strategia deliberata. 

Il focus sulle mutilazioni genitali femminili è stato curato da Maria Pia Anna Corrado e Aurora Almadori, docenti dell’associazione Angels, che hanno illustrato le conseguenze fisiche, psicologiche e sociali di questa pratica, ancora diffusa in molte parti del mondo. Il loro intervento ha mostrato come la violenza possa anche essere culturale e comunitaria, tramandata come norma e giustificata da tradizioni che negano il diritto all’integrità del corpo. 

Nella parte finale, l’autrice teatrale Barbara Amodio ha presentato la performance “Il boato di un no”, dedicata alla potenza della scelta e della ribellione femminile. La regista e sceneggiatrice Michela Andreozzi ha invece portato una riflessione sui temi dell’identità di genere e della libertà di espressione, richiamando il suo film “Unicorni” e ricordando quanto ancora siano radicati stereotipi e giudizi che colpiscono chi devia dallo standard imposto. 

Alla conclusione dell’incontro è stato chiaro che parlare di violenza contro le donne richiede uno sguardo capace di attraversare mondi e realtà diverse. Non basta denunciare il fenomeno: bisogna comprenderne le radici, le condizioni sociali e culturali che lo alimentano e i sistemi che permettono che continui. Per me e Giovanni, che svolgiamo il servizio civile con Mediterranean Hope, tutto questo rappresenta un richiamo alla responsabilità: il nostro lavoro quotidiano è parte di un impegno più grande, che riguarda la tutela della dignità, dei diritti e della libertà delle persone. E ci ricorda che, per cambiare davvero le cose, non possiamo permetterci di distogliere lo sguardo. 

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