La blasfemia del fast-fashion

Roma (NEV), 11 dicembre 2025 – Riceviamo e pubblichiamo questo testo da parte della coordinatrice della Commissione globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), Maria Elena Lacquaniti. Lo scorso 6 e 7 dicembre si è tenuta a Firenze la conferenza “Il lato oscuro del fast-fashion” organizzata dalla Commissione Globalizzazione e […]

Roma (NEV), 11 dicembre 2025 – Riceviamo e pubblichiamo questo testo da parte della coordinatrice della Commissione globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), Maria Elena Lacquaniti.


Lo scorso 6 e 7 dicembre si è tenuta a Firenze la conferenza “Il lato oscuro del fast-fashion” organizzata dalla Commissione Globalizzazione e Ambiente Glam in collaborazione con la locale chiesa Valdese. Il 7 dicembre presso la stessa chiesa il culto ha ripreso il tema, sia nella liturgia cura della Glam (disponibile a richiesta) sia nella bella predicazione curata dal pastore valdese Francesco Marfe’, che nell’annuncio della seconda domenica di avvento ha trovato dalla lettura biblica spunto per riflettere sul tema.

L’evento di Firenze è l’ultima tappa di un percorso condiviso da tre organismi evangelici, Csd diaconia valdese, Chiesa Valdese di Milano “Gallo Verde” e Glam, che nel  corso di questi ultimi tre mesi sono intervenuti affrontando l’argomento da diverse angolazioni.
L’impianto proposto dalla commissione ha voluto denunciare tre aspetti del fast-fashion: l’impatto ambientale, lo sfruttamento del lavoro e l’atteggiamento psicotico verso l’acquisto.
Irene Abra ha raccontato il mercato dell’usato più grande al mondo, Kantamando ad Accra in Ghana. Nove ettari di mercato con banchi, stand e capannoni in cui ogni settimana vengono scaricati 15milioni di capi di abbigliamento. Gli invenduti dell’occidente benestante, avanzi di magazzino di stagioni della moda che durano un paio di settimane. Capi sintetici, i cui tessuti sono fortemente carichi di derivati del petrolio. Capi di nessuna qualità, né di buona manifattura. Lo scorso gennaio quel mercato ha preso fuoco. Novemila capannoni distrutti, 20 ettari di terreno arsi, 30.000 disoccupati.
Il fastfashion non ha solo un lato oscuro, dietro di sé nasconde un inferno. Quella che è stata pensata come moda per i meno abbienti è  divenuta con lo sviluppo dell’e-commerce il gioco di milioni di persone che comodamente dal divano di casa acquistano in modo compulsivo e a prezzi stracciati capi che spesso non metteranno o ne faranno reso. Milioni di trasporti hanno questo scopo, recare merce, restituire resi e alla fine dei giochi queste grandi balle di materiali, in cui finisce anche del rifiuto di vario genere che nulla ha che vedere con l’abbigliamento, finiscono in luoghi come il mercato di Kantamando e di questa montagna di merce scadente il buon 40% viene scartato prima ancora di andare sui banchi. Le discariche sono a cielo aperto, in prossimità di fiumi e mare. Se vogliamo aprire il grandangolo dell’osservazione e comprendere la pienezza del danno, quel che finisce nelle acque sono derivati del petrolio che vengono assunti dalla flora e dalla fauna marina. Molto di quel pesce arriva sulle nostre tavole e così il cerchio si chiude.
L’atro aspetto, ben conosciuto e purtroppo accettato nella sua irregolarità giuridica, è lo sfruttamento del lavoro. Se pensavamo di dover andare oltre i confini italiani per scoprirlo, ci siamo sbagliati. Prato è il luogo dove lo sfruttamento da lavoro legato al fast-fashion è la regola. Sarah Caudiero, sindacalista del SUDD COBAS, ha raccontato la lotta non violenta di lavoratori e lavoratrici del settore. Picchetti e scioperi per chiedere orari umani e non le 80 ore di lavoro settimanali, che oggi sono la regola. Ovviamente la remunerazione non è coerente al tempo di impiego. Stupisce dalla sua testimonianza, maturata in campo ormai da qualche anno, come il sindacato da lei rappresentato abbia saputo dare fiducia a questa fascia di lavoratori e lavoratrici, fragili e facilmente attaccabili perché quasi tutti extracomunitari. Non è scontato, è noto infatti quanto l’essere straniero in Italia ponga i lavoratori in una condizione di sottomissione e purtroppo di accettazione di soprusi. Nelle aziende dove Sarah Caudiero esercita la propria vocazione sindacale (la chiamo vocazione perché il modo pacato di esprimersi di questa donna è già di per sé intriso di umanità verso il prossimo), si è creata una situazione familiare dove chi fa i picchetti ha il sostegno della gente comune che porta cibo caldo e sostiene la protesta per i diritti dei lavoratori e le lavoratrici, primo tra tutti il diritto alla dignità.
La riflessione che abbiamo fatto a conclusione di questa bella conferenza ha riguardato l’animo umano, sempre più vuoto. Come credenti non possiamo abbandonarci alla santificazione del black friday, abbiamo il dovere di indicare un’altra via. Abbiamo la forza dell’evangelo e strumenti critici da contrapporre a questa blasfemia che è divenuta la regola.
La serata si è conclusa con uno scambio a offerta di abiti e accessori usati, dove personalmente ho potuto realizzare parte dei miei acquisti natalizi nella gioia della condivisione. L’usato, il riclicato, il rigenerato a volte raccontano storie.
Spedite le vostre storie “usate” alla mail commissioneglam@gmail.com, ne faremo un libretto.
Maria Elena Lacquaniti 
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