Job Labs, quando il lavoro è strumento di emancipazione

Sono arrivate dalla Nigeria, dalla Colombia, dal Perù, e sono titolari di protezione internazionale; hanno usufruito degli sportelli, o più in generale dei servizi della Diaconia valdese, e si sono messe in gioco nel progetto dei “Job Labs”. Ne parliamo con Martina Cociglio, coordinatrice dei Community Center (Cc) della Diaconia valdese: «Si tratta di…

Job Labs, quando il lavoro è strumento di emancipazione

12 Dicembre 2025

by Daniela Grill e Sara Tourn

Con Martina Cociglio parliamo di un progetto all’interno dei Community Center della Diaconia valdese

Sono arrivate dalla Nigeria, dalla Colombia, dal Perù, e sono titolari di protezione internazionale; hanno usufruito degli sportelli, o più in generale dei servizi della Diaconia valdese, e si sono messe in gioco nel progetto dei “Job Labs”. Ne parliamo con Martina Cociglio, coordinatrice dei Community Center (Cc) della Diaconia valdese: «Si tratta di un’esperienza nuova per i nostri Cc, che ci ha permesso di dare una forma più definita a qualcosa che ne faceva già parte, il valorizzare le persone che si rivolgono ai nostri sportelli, offrendo opportunità concrete e intercettando le loro competenze, professionalità e predisposizioni, specie in ambito sociale. È stato un modo per rendere i nostri sportelli ancora più efficaci».

Iniziato all’inizio di quest’anno, con il finanziamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri attraverso l’otto per mille dell’Irpef, vede l’inclusione di donne rifugiate all’interno delle équipe dei Cc a Roma, Milano e Torino, e un progetto simile è stato realizzato a Napoli. Prevede l’inserimento lavorativo delle donne con un ruolo chiave nei confronti dell’utenza, spiega Cociglio, «come mediatrici interculturali, ma anche in senso più ampio come persone in grado di intercettare più facilmente, rispetto all’équipe, i bisogni degli utenti che si rivolgono ai Cc, e quindi rendere questi ultimi ancora più vicini alle persone».

Queste donne diventano un punto di riferimento e un collegamento con le comunità migranti e sono, aggiunge, «un esempio di integrazione positivo, sono donne che hanno affrontato difficoltà, che hanno fatto un percorso, mostrando un desiderio di riscatto e la volontà di restituire l’aiuto ricevuto, rendendosi disponibili verso beneficiari che vivono difficoltà simili alle loro».

Per chi si avvicina allo sportello, continua, magari scoraggiato o spaventato, vedere oltre ai volti delle operatrici quelli di persone che hanno un vissuto simile, è molto positivo.

Questa esperienza ci ricorda che le persone migranti e rifugiate non sono solo “bisognose” ma lavoratori e lavoratrici con competenze, e questo progetto ha potuto valorizzare le capacità di tante persone, «costruendolo passo passo, all’interno di un contesto protetto, tenendo conto che parliamo di donne richiedenti asilo, permettendo loro di raggiungere un buon grado di autonomia all’interno dei Cc; questo ci ha portato ad avere uno scambio fruttuoso, che ci ha messo in discussione, per esempio sulle nostre metodologie. È stato uno scambio bidirezionale, insomma».

Il lavoro è consistito nell’affiancamento allo sportello, ma anche nell’ideazione di laboratori per favorire il percorso di autonomia e consapevolezza dei beneficiari dei Cc, creati proprio a partire dagli spunti delle peer tutor: «Loro stesse, partecipando ai laboratori realizzati con professionisti, hanno ricevuto una formazione su vari aspetti, dall’inclusione lavorativa, all’uso dei dispositivi elettronici (smartphone, ecc.), alla valorizzazione della cultura femminile, ai diritti».

La stessa fase di pre-selezione sulla base delle loro conoscenze, prosegue Cociglio, che a noi può apparire banale (colloqui, spiegazione del contesto lavorativo) è stato un passaggio importante per la loro professionalità, da spendere nel loro curriculum. E conclude: «Per noi è stato davvero arricchente; grazie al loro supporto, abbiamo potuto sperimentare metodologie creative e nuove tematiche, favorendo la dimensione di gruppo e il lavoro collettivo».

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