Nel nome di…

Roma (NEV), 5 ottobre 2025 – Si è svolto ieri il convegno “Nel nome di…”, sul tema del Tertio Millennio Film Festival 2025. Dialogo interreligioso e riflessione accademica hanno caratterizzato questo importante momento, che ha visto la collaborazione di diversi organismi istituzionali e di fede. Il Tertio Millennio, lo ricordiamo, è un festival cinematografico che […]

Roma (NEV), 5 ottobre 2025 – Si è svolto ieri il convegno “Nel nome di…”, sul tema del Tertio Millennio Film Festival 2025. Dialogo interreligioso e riflessione accademica hanno caratterizzato questo importante momento, che ha visto la collaborazione di diversi organismi istituzionali e di fede.

Il Tertio Millennio, lo ricordiamo, è un festival cinematografico che si tiene ogni anno a Roma ed è giunto alla sua XXIX edizione. Organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, esso promuove il cinema come luogo di dialogo interreligioso e interculturale, in collaborazione con le principali comunità religiose presenti in Italia.

Questo dialogo caratterizza anche la giuria del Festival in chiave cattolica, protestante, ebraica, buddista, induista e musulmana.

Il convegno si è svolto presso l’Università Urbaniana e si è concentrato su diversi punti di vista riguardo il “nome”, il potere del nominare e del silenzio. Moderati da Sandra Mazzolini, Decano della Facoltà di Missiologia, hanno parlato Luca Pandolfi, Ordinario di Antropologia Culturale – sul tema “Il nome nelle culture. Simbolizzazione della persona e delle relazioni” – e Gaetano Sabetta, professore straordinario di Dialogo interreligioso, con la relazione “Quando il nome diventa silenzio. Come le fedi parlano del divino vicino e inaccessibile”. A seguire, microfono aperto per i rappresentanti delle religioni.

Per parte protestante, era presente la pastora Francesca Nuzzolese, docente di teologia pratica presso la Facoltà valdese di teologia, nonché membro della giuria Tertio Millennio come delegata dall’Associazione protestante cinema “Roberto Sbaffi” e della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).

Nuzzolese, ringraziando per la stimolante conversazione, ha detto: «Io sono qui come rappresentante non di un’altra fede religiosa, ma di una stessa fede cristiana: rappresento un altro gruppo di cristiani, quelli che in Italia chiamiamo protestanti, riformati o evangelici. Rappresento loro, tuttavia parlo a nome mio personale, e dico questo per introdurre un concetto che nasce dalla mia riflessione su questa conversazione. Nel mondo protestante c’è il concetto del sacerdozio universale, che afferma che ogni persona può rivolgersi direttamente a Dio: ha il potere, il dovere, la responsabilità, ma anche il privilegio di approcciarsi a Dio senza intermediazioni. Questa fiducia nasce dalla convinzione che il divino si è avvicinato così tanto a noi, in Cristo, nella persona di Gesù, da rendere visibile ciò che in noi porta l’impronta, l’immagine di Dio.

Parlare o agire in nome di Dio significa prendere sul serio che ognuno di noi porta qualcosa dell’identità di Dio stesso. In termini concreti, parlo anche come insegnante di teologia pratica o pastorale: tanto quanto i documenti sacri e le Scritture, i nomi di Dio sono importanti, ma lo siamo anche noi, perché portando quell’immagine di Dio diventiamo un ‘documento umano’ da cui imparare chi è Dio e come rapportarci a lui.

Se prendiamo sul serio questo dialogo e l’opportunità di conoscerci al di là delle differenze, e cominciamo a guardarci pensando che ognuno di noi porta la capacità di esprimere qualcosa di Dio, allora ogni esperienza e ogni vita diventa in un certo senso ‘sacra’. Il discorso dei colleghi è stato molto interessante e mi ha fatto ripensare a chi ha il potere o l’autorità di dare il nome alle cose, incluso Dio, e a chi invece si prende il potere di toglierlo».

Intervento di Saul Meghnagi per ‘Unione delle comunità ebraiche italiane (UCEI)

«Rappresento l’Unione delle Comunità ebraiche italiane, che in Italia sono 21, per un totale di circa 23-25 mila persone. L’invito della nostra coordinatrice a essere concreti mi spinge a dire due cose semplici. La prima: se dovessi tradurre in ebraico il titolo del nostro incontro, non saprei come completarlo. In ambito ebraico il nome di Dio non solo non si pronuncia, ma non è pronunciabile: nei testi ci sono le consonanti, non le vocali. Il completamento di quel nome non esiste. Potrei dire “scem be-scem” (dall’ebraico שֵׁם, shem), nel nome del nome, è l’unico modo per tradurlo. La seconda cosa è più concreta. Cito De Gasperi, che nel 1946, a Parigi, disse: “Prendo la parola e sento che tutto, tranne la vostra cortesia, è contro di me… Ho il dovere di parlare per la libertà del mio popolo”. Nessuna comunità è un’entità omogenea: ebrei, cattolici, protestanti sono realtà variegate. Oggi le religioni non devono essere clave con cui ci si combatte “nel nome di Dio”, ma strumenti di dialogo. Credo che questo Film Festival contribuisca a tale scopo e auguro pieno successo all’iniziativa».

Intervento di Guglielmo Doryu Cappelli per l’Unione buddhista italiana

«Sono monaco del Buddhismo Zen Sōtō e delegato dell’Unione Buddhista Italiana per il Tertio Millennio Film Festival. Il mio nome buddhista, Doryu, significa “il drago della via”. Il punto di vista del Buddhismo sui nomi, intesi come linguaggio, concetti o etichette, è paradossale ma fondamentale, soprattutto quando si tratta di nominare l’assoluto. Alla base della dottrina vi è l’anatman, il “non-sé”: l’assenza di esistenza intrinseca di tutte le cose e la realizzazione di una dimensione ultima senza confini. Un antico sūtra dice che “tutti i fiumi, quando arrivano all’oceano, perdono il loro nome”. Nella dottrina della produzione condizionata, una delle cause da superare per giungere al nirvana è nama-rupa, nome e forma, quando diventano oggetto di attaccamento. Lo Zen è trasmissione da cuore a cuore, oltre le parole e le lettere. Si usano i nomi anche per negare il loro potere: “Se incontri il Buddha, uccidilo”, cioè distruggi ogni idea fissa. Come disse un maestro Zen, “non ci si nutre di un fiore dipinto, ma anche un fiore dipinto può saziare la fame” ed è ciò che stiamo facendo qui oggi»

Intervento di Lilamaya Devi per l’Unione induista italiana

«Rappresento l’Unione induista italiana, riconosciuta dallo Stato e firmataria dell’intesa con il Parlamento nel 2012. In Italia si stimano circa 200.000 induisti. Vorrei toccare tre aspetti. Il primo riguarda il significato dei nomi di Dio: “Dio è uno, ma i saggi lo chiamano con molti nomi”, dicono i Veda. I diversi nomi esprimono le qualità del Divino, le sue infinite manifestazioni e sono strumenti simbolici che aiutano l’essere umano ad avvicinarsi a lui. La sorgente divina è unica per ogni religione, come ricordava Swami Vivekananda al Parlamento delle Religioni di Chicago nel 1893: tutte le fedi hanno pari dignità. Nell’induismo il nome si identifica con il suono: la vāc, la parola sacra, nasce dal silenzio e al silenzio ritorna. Dakshinamurti, una forma di Shiva, insegna proprio attraverso il silenzio. La pratica del japa, la ripetizione del mantra, purifica la mente e le azioni: il mantra protegge, conduce alla concentrazione e alla meditazione, portando pace dentro e intorno a noi. Infine, prendere un nuovo nome segna un rinnovamento: è l’inizio di una nuova vita. Per il sannyasin, il monaco induista, significa rinunciare alla vita precedente e dedicarsi alla conoscenza del Brahman, dell’assoluto».

La giuria del Festival, che si tiene fino al 9 novembre, è composta da Piera Di Segni (Unione delle comunità ebraiche Italiane – UCEI); Guglielmo Doryu Cappelli (Unione buddhista italiana); Umberto Pallavicini (COREIS – Comunità religiosa islamica italiana); Fabian Islam Durrani (UCOII – Unione delle comunità islamiche d’Italia); Francesca Debora Nuzzolese (FCEI/Ass. protestante cinema); Lilamaya Devi (Unione induista italiana).


Il convegno è stato aperto dai saluti istituzionali di Vincenzo Buonomo, Delegato Pontificio e Magnifico Rettore della Pontificia Università Urbaniana, Davide Milani, Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e Giuliano Savina, Direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale italiana (CEI).

Qui di seguito, gli Abstract degli interventi accademici.

Abstract Pandolfi – Il Nome nelle culture

Abstract Sabetta – Nome e silenzio


Il testo finale è frutto della revisione, integrazione e verifica dell'autrice. Per la trascrizione e la sintesi degli interventi citati è stato utilizzato il supporto di strumenti di intelligenza artificiale, impiegati per ottimizzare il lavoro redazionale.
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